L’allentamento delle restrizioni dovute al Covid-19 finalmente ci consente -tra le altre cose- di poter andare al cinema e così -pregustandomi la felicità di ritornarci dopo più di un anno- ho deciso di inaugurare la stagione dei film in uscita con “Run”, pellicola la cui protagonista indiscussa è la pluripremiata Sarah Paulson, già star della serie antologica American Horror Story.

Si dice che di mamma ce n’è una sola: “E menomale”, direbbe l’altra protagonista femminile della pellicola -la giovanissima Kiera Allen che in Run interpreta Chloe, la figlia dalla salute cagionevole e dai molteplici problemi fisici della quale mamma Diane si prende amorevolmente cura.

A modo suo però.

La fragile salute mentale di Diane, inevitabilmente compromessa dal momento in cui la piccola figlia data alla luce muore a 2 ore dalla nascita, trova terreno fertile nelle cure maniacali e non necessarie che rivolge alla piccola sottratta ad una coppia proprio nell’ospedale nel quale aveva partorito poco prima e che lei fa divenire sua figlia.

Le continue medicine somministrate alla ragazza (ormai diciassettenne) che di fatto la rendono invalida e dipendente dalla madre, iniziano a insospettirla, tanto da condurla a scoprire di essere vittima dei desideri malsani di quella che crede essere sua madre, il cui obiettivo è solo quello di controllare la vita della ragazza impedendole di avere rapporti col mondo esterno.

Infatti Diane e Chloe abitano in una villetta solitaria, al riparo da occhi indiscreti e lontano dalla vita tanto agognata dalla ragazza, che invece è costretta a spostarsi in carrozzina.

Run è un thriller il cui obiettivo non è esplorare il rapporto spesso conflittuale tra madre-figlia, quanto quello di raccontare la tristissima piaga delle malattie mentali, di quanto la sofferenza sia vicina a noi e di quanto siamo portati a sottovalutarne i sintomi.

Un dolore non superato -la morte di un figlio in questo caso- innescano emozioni così violente da provocare veri e propri terremoti esistenziali che distruggono non solo la propria vita, ma anche quella di coloro che si dice di volere bene.

Sarah Paulson, nei panni della psicopatica Diane, si cala per l’ennesima volta in uno dei suoi ruoli attoriali più congeniali, quello della donna fragile e problematica, che accetta dimostrando presenza scenica e talento smisurato.

Evitando appositamente di spoilerarvi il finale cosicché possiate andare al cinema per scoprirlo da soli, vi auguro buona visione!.

By Valeria Eboli

 

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