Chissà quante volte vi sarà capitato di pensare a quanto sia importante la religione nelle nostre vite. Per molti è un modo per poter convivere con i propri fantasmi, con le proprie vite, con le proprie insicurezze.

Nel mondo di oggi la religione non riempie più la nostra vita con i valori per cui è nata, troppe sono le distrazioni, troppe sono le possibilità di credere che se siamo qui non è perché ci sono stati Adamo ed Eva, ma perché semplicemente ci siamo evoluti da piccoli batteri…dalle scimmie…dai dinosauri.

Il titolo di questa puntata potrebbe farvi pensare a una lezione di catechismo; tranquilli: non mi permetterei mai di farlo. Ormai sapete che in ogni mia puntata cerco di mettere in correlazione lo sport con altri mondi… terreni o ultra… non è importante.

Nella puntata di oggi vorrei portarvi a scoprire situazioni a dir poco paradossali, dove la religione ha influito nelle scelte di un atleta, di un paese, di una federazione.

Sì… lo so… siamo nel 2021 e sembra assurdo credere che ci siano casi in cui lo sport sia stato condizionato da Gesù, Budda, Maometto o chiunque altro.

MOMO SALAH – CALCIO

Parto quindi dallo sport più comune, più conosciuto e più praticato al mondo: il calcio!!!

Il caso di cui voglio parlare è quello di Mohammed Salah Ghaly, calciatore egiziano nativo di Basyoun.

Per farvi capire quanto la cosa sia radicata e complicata, non posso non darvi qualche cenno su chi sia Salah.

Da ormai un ventennio Salah è uno dei più importanti calciatori espressione del continente Africano, quella terra che è un vero e proprio melting-pot di popoli, di tradizioni, di credenze e di religioni.

Un continente in cui si mischiano la cristianità più vera, quella più animista, i riti sciamani, l’Islam radicato e quello meno radicato, un posto dove è veramente complicato in certi luoghi ammettere di credere in questo o quello.

Salah inizia la sua carriera in un club di Nasr City, l’Al-Mokawloon Al-Arab Sporting Club dove si mette in mostra agli occhi di squadre europee di prima fascia, venendo acquistato dalla società svizzera del Basilea, che nel 2012 era una delle più importanti squadre elvetiche e dove ha la possibilità di mettersi in mostra anche in Europa.

Da Basilea, la carriera di Salah esplode con l’acquisto da parte del Chelsea, importantissimo club di Londra e dopo due stagioni viene mandato in prestito alla Fiorentina nella nostra serie A e proprio in questa occasione riemerge l’estremo legame di Salah con le frange meno “morbide” dell’Islam.

Infatti come numero di maglia sceglie il numero 74 in onore dei morti delle strage di Port Said avvenuta nel 2012 al termine della partita tra l’El-Ahly e l’Al-Masry; a prima vista potrebbe sembra un gesto misericordioso e assolutamente meritevole, ma leggendo a fondo la simbologia, emerge che la strage fu a tutti gli effetti “organizzata e perpetrata” dai “Fratelli Musulmani” contro i tifosi e i giocatori della squadra dei sostenitori dell’ex leader e padrone dell’Egitto Hosni Mubarak, ormai caduto in disgrazia dopo le primavere arabe.

I “Fratelli Musulmani” rientrano proprio in quella fazione più estrema dell’Islam, ma nel 2015 nulla era così scontato da interpretare.

A fine stagione il trasferimento a Roma per, poi, spiccare il volo verso Liverpool dove il numero 11 dei Reds colleziona record e vittorie con la squadra; Premier League, Champions League, Supercoppa Europea e la Coppa del Mondo per club a livello di squadra oltre ad innumerevoli premi a titolo personale, tra cui due volte il titolo di capocannoniere inglese due volte quello di calciatore Africano dell’anno e molti altri.

Direi che la carriera di Salah è una carriera che potrebbe essere il sogno di tutti i giovani calciatori che si approcciano al calcio e che vivono il sogno di diventare dei campioni.

Se non che, nel corso della sua straordinaria carriera sportiva, diversi sono gli episodi che non lo pongono sotto le migliori luci per quanto riguarda il rispetto degli avversari e prima ancora delle persone.

Tornando indietro nella sua carriera, arriviamo al 30 Luglio 2013 ed è prevista una partita di qualificazione ai gironi di Champions League tra il Basilea ed il Maccabi Tel Aviv, squadra ovviamente rappresentante la nazione di Israele.

Ora, non chiedetevi come mai uno stato che si trova a tutti gli effetti tra l’Africa e l’Asia sia stato inglobato nel calcio europeo; analogo discorso potremmo aprirlo per Turchia ma, siccome il destino è spesso beffardo, come detto in altre occasioni, ci ritroviamo a vedere una partita all’apparenza anonima e anche abbastanza scontata nel risultato.

Improvvisamente, la gara acquista connotati che vanno ben al di là del semplice evento sportivo, nel momento in cui i giocatori, schierati al centro del campo, iniziavano il rito dei saluti con la classica stretta di mano.

Bene, per tutta la durata del passaggio degli undici giocatori della squadra israeliana, allenata all’epoca da una vecchia conoscenza del nostro calcio, Paulo Sousa, Salah ha continuato ad allacciarsi le scarpe pur di non dover dare la mano ai calciatori ebraici.

La gara terminò 1 a 0 ma la cosa non passò inosservata e il giorno dopo diversi giornali, non solo quelli specializzati, riportarono la notizia segnalando quello che a tutti gli effetti fu un problema legato alla contrapposizione del mondo musulmano con quello ebraico e che nulla aveva a che fare con l’ambito sportivo.

Nella gara di ritorno in quel di Tel-Aviv, si ripropose il problema e tutti gli occhi dello sport europeo e quelli dei giornalisti erano concentrati su come Salah avrebbe potuto nuovamente evitare il “contatto” con i colleghi non degni di essere toccati.

Nel momento in cui i giocatori del Basilea iniziarono il rito, Salah pensò bene di non dare la mano ma di battere con il pugno sul palmo dei giocatori Israeliani, anche perché non avrebbe potuto fare altrimenti, incorrendo in eventuali sanzioni anche da parte dell’Uefa.

Per puro spirito di cronaca la partita terminò 3 a 3, Salah segnò e il Basilea passo il turno.

Nel 2015 ci fu il riferimento ai morti di Port Said, come già detto, ma le dimostrazioni di insofferenza del prode “Messi delle Piramidi” come fu soprannominato anche per l’estrema capacità di usare il piede sinistro in modo sopraffino, non erano ancora finite.

Dall’episodio di Basilea passano cinque anni e arriviamo a Liverpool nel Dicembre 2018.

La carriera di “Momo”, nome con cui viene ormai chiamato in giro per i campi europei e mondiali, è brillante, solare e con un futuro che si preannuncia ancora ricco di successi ma all’improvviso viene fuori la notizia che la squadra allenata da Jurgen Klopp abbia intenzione di acquistare un talentuoso giocatore in forza al Salisburgo: Moanes Dabbur, forte attaccante nato, per ironia della sorte, proprio a Nazareth.

Il giocatore proviene dalla scuola del Maccabi che dopo aver segnato caterve di goal nel campionato svizzero nelle fila del Grassophers si sta confermando in quello austriaco con la squadra di proprietà delle Red Bull, che ti mette le ali.

A questo punto Salah esce allo scoperto comunicando al club di Liverpool che nel caso venisse acquistato Dabbur chiederebbe immediatamente di essere ceduto, perché lui non vuole giocare con un giocatore israeliano.

Se io fossi stato il Presidente del Liverpool, avrei rescisso il contratto dello stesso e lo avrei liberato creando un precedente importante, perché tu sei pur sempre un dipendente a tutti gli effetti, ma siccome io non sono il presidente del Liverpool, Salah gioca e guadagna tanto con il Liverpool mentre Dabbur è finito dall’Hoffenheim, squadra di seconda fascia della Bundesliga dove sta continuando a segnare, ma con l’atroce dubbio che la sua carriera non sarà mai quello che avrebbe potuto essere.

Salah, ripetutamente intervistato in merito continua a sostenere che il suo essere solidale con il popolo palestinese non gli permetterà mai di poter convivere con tutto ciò che riguarda Israele, ma questa cosa non può e non dovrebbe diventare un ricatto che impedisce ad un club di calcio, di cricket o di bocce di poter realizzare un affare atto a migliorare le performance del club stesso.

In ultima analisi riporto anche un altro episodio dove l’oltranzismo di Salah si evidenziò in maniera palese e che ancora una volta ebbe la meglio.

Mi riferisco al periodo in cui Momo giocava nella Roma ed in particolare ad una iniziativa della Federcalcio italiana che in occasione di un turno di campionato che cadeva il 25 Aprile, pensò di fare entrare in campo tutte le squadre con un enorme striscione recante la scritta “Verità per Giulio Regeni”.

Io non voglio e non posso entrare in merito al fatto in se, ma è evidente che la cosa riguardi i rapporti tra Italia ed Egitto e punto di vista italico deve essere fatto di tutto per arrivare alla verità dei fatti.

Ancora una volta le autorità sportive, ma soprattutto politiche italiane, cedettero al ricatto di Salah che lo vedeva pronto a rescindere il contratto con la Roma, facendo portare in campo lo striscione ai raccattapalle ben prima dell’inizio della partita, facendone perdere ogni valore rendendolo solo uno spot pubblicitario per assurdo a vantaggio di coloro che questa verità forse non la vogliono.

Ma la legge del contrappasso colpisce anche Salah e i suoi dettami religiosi perché forse non sapete e probabilmente non lo sa neanche lui, che il capitano della squadra israeliana di calcio Brigas Natkho, nato a Kfar Kama, pur essendo di religione musulmana riveste l’importantissimo ruolo di capitano della Nazionale con una carriera importante divisa tra Hapoel Tel Aviv, Paok Salonicco, CSKA Mosca, Olympiakos e Partizan Belgrado.

Ma poi mi faccio un’altra domanda, ma se i soldoni che arrivano sul conto corrente del prode egiziano, arrivassero da casse “macchiate” di ebraismo, sarebbe pronto a rifiutarli???

Già immagino le vostre facce, i vostri commenti sul fatto che il calcio sia uno sport diseducativo e posso anche essere d’accordo, ma mi spiace deludere i più oltranzisti tirando in ballo altre situazioni dove il calcio non c’entra proprio nulla.

 

 

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by Fabrizio Roscitano

 

 


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