Le Storie olimpiche

 


Ogni volta che si avvicinano le Olimpiadi si mette in moto tutto un mondo che per quattro anni rimane silente, il mondo degli sport di cui molti di noi si innamorano per il periodo strettamente intercorrente tra l’accensione e lo spegnimento del braciere olimpico.
In ogni Olimpiade ci sono suggestioni, successi, delusioni, scandali legati ai bagarini, alle tangenti o a tutto quello che purtroppo non ha niente di De Cubertiano.
Alla fine però, ci ritroviamo tutti a sostenere i nostri tifando per discipline improbabili come il badminton o la Bmx di cui ignoriamo ogni tipo di regola.

Come già detto e ridetto io non voglio raccontare le cose che tutti sanno, ma voglio rivolgere lo sguardo lontano dai volti famosi dei 5 cerchi, lontano dai Thorpe, dalla Cagnotto, da Gasol e altri, e lo voglio rivolgere a storie che forse nessuno di voi ha mai conosciuto, ma che spero vi faccia piacere conoscere.

Parliamo di storie di sport olimpico che sono state quasi delle chimere e che con il passare del tempo hanno lasciato spazio, a molto altro, a tutt’altro.
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Atene 1896 – Carlo Airoldi – La storia di un atleta gentiluomo

 


Inizio con il parlarvi di Carlo Airoldi, atleta Lombardo di Origgio (Va) vissuto tra la metà del 1800 e gli inizi del 1900.
Carlo Airoldi fu, prima di Dorando Pietri, un fondista di primo livello con numerosi successi sia in ambito nazionale che internazionale.
Tra le gare che vinse tra il 1891 ed il 1895 si possono ricordare la Lecco-Milano, la Milano-Torino e la prestigiosissima Milano-Barcellona, si avete letto bene, una durissima corsa podistica che si divideva in dodici tappe che coprivano i 1050 chilometri che separavano le due città.

Il suo rivale dell’epoca era il francese di Marsiglia Louis Ortegue al quale è legato da un episodio di sportività che ricorda un po’ quello occorso nella batteria dei 5000 m donne tra la statunitense D’Agostino e la neozelandese Hamblin.
Dopo un’estenuante gara, iniziata già solo per trovare i soldi per l’iscrizione, il coriaceo corridore italiano si trovò ad avere a che fare con piedi talmente gonfi quasi da non entrare nelle scarpe, ma questa situazione non lo fece desistere dall’impresa e arrivò all’ultima tappa alla pari con il rivale francese.

Nell’ultima tappa riuscì a distanziare Ortegue ormai stremato e a pochi metri dal traguardo voltatosi per controllare il distacco vide che il transalpino era a terra; si fermò, tornò indietro si caricò il collega/atleta sulle spalle e giunto al traguardo urlò alla giuria «Io sono primo: l’avversario è con me, ed è secondo!». Tale vittoria gli fruttò la cifra di circa duemila pesetas.

Detto delle difficoltà che vi erano all’epoca per ottenere fondi per gare e trasferte, Carlo Airoldi si autofinanziava praticando a livello amatoriale il sollevamento pesi e lavorando come operaio in una importante fabbrica di cioccolata.
All’alba delle prime olimpiadi di Atene del 1896 Arioldi si decise a partecipare e tra l’altro con prospettive di vittoria notevoli. Naturalmente mancava il denaro necessario per il viaggio fino ad Atene.

Lo sponsor venne trovato nel direttore del famoso giornale milanese “La Bicicletta” al quale Carlo Airoldi propose di partecipare al viaggio che avrebbe attraversato l’Impero Austro-Ungarico, quello Ottomano e la Grecia permettendo al giornale di documentare il tutto giorno per giorno. Airoldi dovette quindi affrontare tappe di 70 km al giorno con partenza il 28 Febbraio 1896 alle ore 16.00.

Nel corso dell’impresa che l’Airoldi stava tentando per raggiungere il suo sogno, riuscì anche a battere il campione di Spalato, per poi essere aggredito dagli scommettitori slavi infuriati per aver perso soldi in scommesse.
Il 31 marzo 1896 Carlo Airoldi giungeva ad Atene per scoprire che non avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi.
Motivo? Il premio in denaro vinto alla Milano-Barcellona che ne precludeva l’imprimatur di dilettante rendendolo un professionista, cosa che all’epoca non poteva esser ammessa.

Ovviamente i dubbi sulle vere motivazioni dell’esclusione dell’italiano erano parse ai più, quasi ovvie.

Il Comitato greco aveva nell’atleta Spyridon Louis il proprio diamante e trovare Airoldi nella stessa gara avrebbe potuto portare a sconquassi non voluti. Già, siamo alla prima Olimpiade e già la “politica sportiva” mieteva le sue vittime.
Nonostante non fosse iscritto alla maratona, Carlo Airoldi cercò di correrla lo stesso come non iscritto nel tentativo di dimostrare di essere il migliore; tuttavia venne fermato da un giudice di gara prima del traguardo e passò una nottata in carcere.
Amareggiato per l’esclusione, l’Airoldi lanciò una sfida al vincitore della maratona che non fu mai raccolta.

Carlo Airoldi morì di diabete nel 1929 e nessuno può sapere cosa sarebbe successo alla sua vita se avesse potuto partecipare e magari vincere la prima maratona dei giochi olimpici moderni.
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Stoccolma 1912 – Jacobus Franciscus Thorpe – Squalificato per una partita di baseball

 


Per tutti semplicemente Jim Thorpe un ragazzino ventitreenne nativo americano pellerossa la cui vera data di nascita è un mistero, ma che sicuramente i genitori chiamavano amorevolmente Wa-Tho-Huk (sentiero lucente).

A Stoccolma per la prima volta furono introdotte due nuove prove multiple, il pentathlon e il decathlon.

Il Pentathlon già presente ai giochi intermedi del 1906, ma con discipline diverse, presentava gare di salto in lungo, lancio del giavellotto, 200 m piani, lancio del disco e 1500 m.
Il decathlon invece era un evento completamente nuovo, anche se negli Stati Uniti già dagli anni 1880 si organizzava una competizione su dieci prove nei meeting di atletica leggera, chiamata All around.

Per il Pentathlon, Thorpe dovette vincere i Trials orientali in tre specialità diverse, e si ritrovò nella squadra con tale Avery Brundage, futuro presidente del CIO la cui storia andrebbe raccontata a parte.
Per il decathlon, invece, erano talmente pochi gli atleti che Jim fu precettato di diritto.

La grandezza di quest’uomo sta nel fatto che oltre alle due prove multiple venne iscritto anche al salto in lungo e al salto in alto.
Nella prima giornata dominò il Pentathlon vincendo 4 prove su cinque e in ciabatte si qualificò per le finali di salto in lungo e salto in alto che comunque non vinse, ma nel Decathlon distrusse l’idolo di casa Hugo Wieslander.
Ma siccome gli avanzava tempo, Thorpe aveva partecipato anche ad una partita dimostrativa di baseball tra due squadre formate dagli atleti della nazionale americana. Non era la prima volta che giocava a baseball, come presto avrebbe scoperto tutto il mondo.

A quei tempi le medaglie venivano consegnate agli atleti durante la cerimonia di chiusura e in quell’occasione Re Gustavo V di Svezia gli disse “Signore, Lei è il più grande atleta del mondo” …Thorpe nella sua semplicità amerinda rispose “Grazie Re”.
A Thorpe dedicheranno un film intitolato “Il gigante dello stadio” interpretato dal grande Burt Lancaster.

Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco e qualcuno scoprì che Thorpe aveva giocato nelle Major League Baseball perdendo quindi lo status di “dilettante” e gli vennero quindi ritirate le medaglie.

Solo nel 1983 l’allora Presidente del Cio Juan Antonio Samaranch restituì il maltolto riconsegnando le medaglie ai figli di Thorpe, deceduto esattamente 30 anni prima.
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Amsterdam 1928 – Attilio Conton – Sconfitto dall’analfabetismo


Rimaniamo sempre nell’ambito della maratona e ci trasferiamo alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, dove il protagonista è un altro atleta italiano.
Ci ritroviamo ancora una volta con un ottimo fondista, dopo Carlo Airoldi e Dorando Pietri, anche perché la concorrenza all’epoca non era come quella attuale.
Questa volta il problema non fu dovuto al professionismo o all’aiuto dei giudici, ma era da ricercare nel livello sociale del protagonista della storia.
Dopo aver vinto numerose gare a livello nazionale e internazionale, Attilio Cotton era uno dei favoriti per la vittoria della maratona Olimpica.
Per tutta la durata della sua gara Cotton rimase nel gruppo di testa insieme al francese di origine magrebina Boughera El Ouafi e ad altri atleti che si erano via via persi per strada, asiatici soprattutto.

Il suo problema era che essendo analfabeta, non poteva capire le indicazioni dei segnali che erano posti lungo il percorso.
Ad un certo punto infatti, Cotton fu vinto dalla fatica e si ritirò, ma non si rese conto che mancavano solo 2 km all’arrivo, lasciando strada libera al franco-algerino che giunse primo con un vantaggio di circa 30” sul secondo, il cileno Plaza e di più di due minuti sul finnico Marttelin.

 

Vi do appuntamento a domani per la prossima puntata.

 

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by Fabrizio Roscitano

 

 

 


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