Violenza sulle donne: la criminologa Cortese denuncia “un’espropriazione di vita”

La criminologa Cortese condanna la sentenza di Torino che minimizza un’aggressione domestica devastante. La violenza sulle donne, afferma, non è un conflitto ma un’espropriazione di vita che toglie identità, dignità e futuro.

Antonella Cortese denuncia la crisi del sistema penitenziario italiano

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La sentenza di Torino: un colpo alla giustizia e alle donne

La recente decisione del Tribunale di Torino, che ha assolto un uomo dall’accusa di maltrattamenti condannandolo solo per lesioni dopo aver ridotto in fin di vita l’ex moglie, ha suscitato indignazione. Una pena di un anno e sei mesi è apparsa a molti come un segnale devastante: lo Stato sembra non riconoscere pienamente la gravità della violenza domestica.

Cortese: “Non chiamatelo raptus, non chiamatelo amore”

La criminologa Cortese, esperta di violenza di genere e autrice del libro “L’amore che uccide”, respinge con forza le definizioni riduttive di “sfogo umano” o “raptus”. “Non chiamatelo amore, perché ciò che uccide non è mai amore; non chiamatelo conflitto, perché la violenza non è mai simmetrica”, afferma.

Violenza come espropriazione di vita: il nuovo paradigma culturale

Per Cortese, la violenza sulle donne è un’espropriazione di vita: l’aggressore non si limita a ferire fisicamente, ma priva la donna della sua identità, delle sue relazioni, della sua dignità e del suo futuro. È un furto dell’esistenza stessa, che la giustizia deve riconoscere con fermezza.

Il ruolo della giustizia e della società civile

Ogni volta che una sentenza ridimensiona la gravità della violenza, la vittima viene colpita due volte: dall’aggressore e dallo Stato. Per questo è fondamentale che il linguaggio della giustizia cambi prospettiva, riconoscendo la violenza come atto di potere e di annientamento, e non come un “errore comprensibile”.


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